Com’è noto, l’aliquota al 10 per cento per la cedolare secca per gli affitti abitativi calmierati è stata decisa del Governo a guida PD (premier Renzi) nel 2014, ed è stata confermata dal Governo sempre a guida PD (premier Gentiloni), nel 2017.
Nel periodo (ben sei anni) di applicazione, detta misure ha rappresentato, e ancora oggi, rappresenta una misura sociale, ampiamente condivisa, la quale ha garantito un’offerta abitativa estesa a vasti strati della popolazione, soprattutto alle persone più bisognose, e favorito la mobilità di lavoratori e studenti sul territorio.
La stessa ha anche determinato una riduzione senza precedenti dell’evasione fiscale nelle locazioni, come evidenziato dal “Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva” allegato alla nota di aggiornamento del Def, che calcola il tax gap nei diversi tributi, ove è riportato che per effetto dell’introduzione della cedolare secca, l’evasione tributaria negli affitti si è ridotta – dal 2012 al 2017 – del 50,45 per cento:  il che conferma l’efficacia di un regime di tassazione che si contraddistingue per equità e semplicità.
L’eventuale aumento della cedolare secca, come deciso dal Governo, oltre a scoraggiare l’utilizzo dell’affitto a canone calmierato, peraltro riservato essenzialmente agli inquilini meno abbienti, potrebbe innescare una richiesta generalizzata di ricalcolo al rialzo dei canoni da parte dei proprietari, consentita da una norma che regola la materia.
In conclusione, riprendendo ancora le argomentazioni sviluppate in questi giorni da Confedilizia a livello nazionale: la cedolare funziona, è una misura sociale, ha abbattuto l'evasione nelle locazioni, perché cambiarla?Catanzaro, 26 ottobre 2019.
Ufficio stampa